Natale

Natale era solo Natale, il Santo Natale. Ma il periodo natalizio era anche qualcos’altro: le vacanze scolastiche, le giornate che finivano di accorciarsi e cominciavano ad allungarsi, la Befana per i più piccoli. Un breve periodo senza scuola ma né io né nessuno dei miei amici doveva fare settimane bianche, andare a sciare: il primo sciatore che ho conosciuto  è stato un  compagno di scuola che veniva dall’altopiano, da Gallio, ed  ero già grandicello.
Il mio compleanno è esattamente 4 settimane prima del 25 dicembre:  poi festa dell’Immacolata, novena natalizia,  Natale , Capodanno,  Befana.  “A Natal un passo de gal, all’Epifania un passo de stria”. Finivano le feste e si tornava a scuola, sarebbe stato ancora freddo, anzi più freddo ma si andava verso giorni sempre più lunghi, verso la primavera, ci sarebbe stato carnevale con frito:e, grusto:i … e pevaroni soto axedo par smorbarme :a boca.
Alla novena di Natale mi mandava mia madre, ma mi piaceva andarci.  Tutti gli anni faceva freddo ed era buio presto: non era tardi ma era già notte. Ricordo notti di stelle, notti con o senza luna con poche o tante nubi, notti umide e nebbiose, notti con o senza neve. In chiesa ci preparavamo al prossimo Natale con preghiere e canti gioiosi, spesso in latino:  testo e significato ci erano più o meno noti. Fuori non era piacevole come ai fioretti di maggio e non ci fermavamo altrettanto a lungo, ma il tempo di far quattro chiacchere con gli amici si trovava, finché si poteva resistere al freddo là sul sagrato rialzato, davanti all’Oratorio dei Boccalotti o all’ampio piazzale sterrato.  L’antica chiesa di San Pietro, con la grande grata sul lato del convento, non aveva impianto di riscaldamento, ma mi par ricordare vi fossero delle stufe a gas. A distanza di tanti anni i ricordi si confondono, si mescolano quelli di tanti Natali, di quando ero bimbo e di quando ero grandicello e mi capita di confondere il prima col dopo.
Iniziate le vacanze si pensava al presepio: l’albero di Natale da noi non era ancora stato scoperto. C’erano le statuine di gesso (intere, rotte o riparate), le casette, la capanna e altri accessori dei presepi precedenti con qualche nuovo acquisto, riparazione o costruzione. Anche il muschio vecchio magari c’era, ma  andavamo a cercarne di nuovo su a Monte Berico: tutto Viale Margherita, tutte le scalette e poi giù nel prato sotto la muretta del tratto piano prima della curva del Cristo, quasi mai con grande risultato.
C’era un’altro dovere da compiere: la letterina di Natale. Non ricordo bene se ce la facevano preparare a scuola o se era un compito lasciato alla nostra iniziativa personale. Si andava in cartoleria, si comprava carta da lettera elegantemente decorata, vi si scriveva che ci dispiaceva di essere stati cattivi e che in futuro saremo stati più buoni e altre cose natalizie. La lettera, nel giorno di Natale, veniva messa tra i piatti “fondo e liscio” del papà. Solo dopo avere mangiato la minestra lui la vedeva, la leggeva, ci faceva i complimenti, ci baciava ed eravamo tutti felici e contenti che fosse Natale. Quando non ero più bambino, la cosa forse è continuata per un po’ con i miei fratelli minori, 7 e 9 anni più giovani di me.
E arrivava Natale. Per molti anni Natale per noi significava alzarsi presto al mattino, andare alla stazione delle ferrovie locali (a me pare esserci sempre andato a piedi, ma forse non è vero), prendere la littorina per il paese natale dei miei genitori, arrivare col buio, andare dalla “nonna Angela” (c’era anche il nonno materno e la zia, ma si diceva così), entrare in una stanza ben riscaldata, scambiarci baci e abbracci, augurarci vicendevomente “Buon Natale”, sederci attorno ad un grande tavolo e bere cioccolata calda con biscotti (ma forse questo avveniva dopo che eravamo stati a messa e fatta la comunione). C’era anche il panettone, ma non ricordo da quando. Poi si andava dai “nonni Stivani” e scambiavamo anche con loro gli auguri. E arrivavano dai nonni comuni anche i cugini castellani, figli del fratello di mia madre e della sorella di mio padre. A mezzogiorno si mangiava tutti assieme: da Nonna Angela c’era minestra in brodo (spesso di gallina, che a me non piaceva molto) con tortellini o tagliatelle fatte a mano (lei era bravissima a stendere la sfoglia e mia madre velocissima a tagliarle) , bollito misto con molti contorni e cren, arrosto o carne in umido con polenta (competenza del nonno), frutta (arance, mandarini e sicuramente noci per lo zio, suo figlio).  Si passava il pomeriggio chiacchierando e giocando, alla sera si tornava a casa stanchi e felici. Non ricordo che oltre allo scambio degli auguri ci fosse quello dei regali, magari la nonna dava una mancia ai nipoti: i regali li portava la Befana e solo ai bambini, forse soltanto perché non c’erano abbastanza soldi.  Era invece abbastanza usuale per Natale ricevere in omaggio dall’abituale fornitore di prodotti alimentari una confezione di mostarda (vicentina) o mandorlato (vero o bagigiato) o  panettone (quando è arrivato).
Assolti tutti i nostri doveri religiosi e familiari si aspettava la Befana. I più piccoli aspettavano regali, i più grandi vedevano di procurarglieli. Aspettavo quei giorni per vedere  Piazza dei Signori piena di bancherelle (dovevo fare regali) e gente che girava a sera tardi della vigilia per gli ultimi acquisti , per comprare giocattoli o quello che serviva a riempire la calza: mele, arance, noci, bagigi, cioccolata, mandorlato di mandorle o bagigi, nocciole, carrube, liquerizia, caramelle. Poi arrivò anche il carbone dolce. Qualche regalo c’era anche per i più grandi: maglie, calze, guanti, berretti, sciarpe. Anche al mattino dopo c’erano le bancarelle, per gli acquisti ultimissimi: io ero lì perchè la Befana aveva portato una pistola senza le cartucce, quei rotoli di carta con esplosivo a intervalli regolari, e dovevo provvedere. Naturalmente non c’erano giochi elettronici ma solo di latta o di legno, poi arrivò la plastica.

Niente albero e niente regali sotto l’albero, ma ricordo almeno una volta che presso la rotonda piattaforma sulla quale stava il vigile a dirigere il traffico si accumulavano i doni della cittadinanza. Magari è stato quando già c’erano i panettoni, magari quando già in casa era arrivato l’albero di Natale e i doni attorno.

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